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L'incendio
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- Categoria: Il monte san giorgio
- Pubblicato Martedì, 29 Gennaio 2013 09:14
- Scritto da Super User
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L'incendio del '99: Il fuoco - La devastazione - La rinascita - Il destino degli alberi morti- I lavori svolti - La situazione attuale - L'evoluzione del bosco indice |
Il fuoco Il 6 febbraio, alle 6 del mattino, inizia l'incendio.
Inizia sul versante verso Cumiana, ma il vento fortissimo lo porta rapidamente sopra ai Castelli, poi sul versante sud, che viene percorso dal fuoco in un tempo rapidissimo, fino a San Valeriano.
L'incendio è passato da carattere radente cioè quel fronte di fiamma che percorre il sottobosco, a incendio di chioma, cioè quel fronte di fiamma che avvolge gli alberi con una vampata; si tratta di conifere, cioè piante resinose: il calore enorme sviluppato dalle fiamme estrae il solvente della resina dalla pianta, la trementina, che prende fuoco in modo improvviso e violento, lasciando l'albero scheletrito, con i rametti che portavano gli aghi contorti, nel senso della vampata.
L’incendio è durato più giorni, solo il sabato successivo un massiccio intervento dei volontari dell’AIB ha bonificato il San Giorgio.
Ha interessato un’area molto vasta, 229 ettari, ha devastato completamente il versante verso Piossasco, e con ampie strisciate il vallone verso Cumiana. Oltre alla devastazione del San Giorgio, ha provocato la morte di un ragazzo di 22 anni, David Bertrand, volontario dell’AIB di Roletto. A David, "medaglia d'oro al valor civile", il Comune di Piossasco ha dedicato la Casa del Parco, alla Martignona. |
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La devastazione
Il fuoco ha messo a nudo le aspre rocce che formano l'ossatura della montagna.
Sulla punta il fuoco sfiora la chiesetta, brucia completamente alcune piante, ne abbruciacchia solo in parte altre spinto dal vento fortissimo, che cambia continuamente direzione.
Brucia tutto quello che c’è di organico, lasciando cenere e carbone: il sentiero in quest’immagine è chiaro, perché su di esso non c’era niente da bruciare.
La corteccia di questi faggi è scoppiata, la linfa al passaggio del fuoco si è bruscamente dilatata provocando la rottura della corteccia
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La rinascita
Nella foto a fianco: 15 giorni dopo, dalle radici di questa graminacea spuntano i germogli.
Nella foto a fianco un semprevivo non completamente bruciato: alcune foglie, imbibita d’acqua, sono ancora verdi.
3 mesi dopo: le latifoglie (quercia e castagno) ricacciano dalla base, quando le radici sono salve (foto a lato); le conifere invece non hanno questa possibilità: le nuove piante originano solo da seme.
Quest'immagine (foto a fianco) del settembre '99, si vedono ancora molto bene i resti del fuoco, pezzi di carbone per terra, e si nota come il terreno incomincia ad essere ricoperto da vegetazione, in particolare dai rovi (Rubus ulmifolius): questi sono i primi a colonizzare un terreno spoglio, ma ben esposto alla luce del sole, ed hanno l'importantissima funzione di limitare il dilavamento provocato dalla pioggia battente (le prime piogge dopo l'incendio hanno riempito di cenere il Sangonetto).
Nel primo inverno dopo l'incendio, si assiste ad un'esplosione di fiori. Nelle foto le viole.
Il legno morto è attaccato dai funghi (foto a fianco).
Sotto i segni del Picchio, che cerca gli insetti che rodono il legno sotto la corteccia.
Nella foto a fianco, tracce delle gallerie scavate da gli insetti (scolitidi).
Senza più l'ancoraggio delle radici, la zolla si solleva, e l'albero crolla.
Dopo alcuni anni, gli alberi morti schiantano a terra. E i funghi continuano la loro opera.
Sui terreni di proprietà comunale, vengono tagliati gli alberi morti, e vengono fatte piccole cataste e fascine, lasciate sul posto. Infatti, il legno bruciato non ha nessun valore, non conviene portalo via, mentre lasciato sul posto poco per volta marcisce e arricchisce il terreno di humus. Inoltre, piccole cataste non sono pericolose in caso di nuovo incendio. Alla la croce dei Castelli si è deciso di lasciare intatta un'area per permettere ai ragazzi delle scuole medie di studiare la ripresa vegetativa, con un progetto di educazione ambientale gestito dal CEA.
I pini, nati copiosi dopo l'incendio, sono in grande maggioranza Pini marittimi (Pinus pinaster).
La ginestra, una nuova arrivata, dopo l'incendio |
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Dalla relazione del dott. Terzuolo (4/3/05)
Si evidenzia quindi una significativa dinamica spontanea di ricolonizzazione vegetale, dove emerge il ruolo delle querce quali pirofite passive (in grado di resistere o di ricacciare dopo il fuoco) e del pino marittimo, cui è da ascrivere quasi tutto il novellame di conifere, che in quanto pirofita attiva rinnova bene da seme per l'apertura delle pigne resistenti facilitata dal fuoco, creando gruppi di novellame ben spaziati, in prevalenza entro 10 piante di altezze tra 30 e 100 cm (raggiunti in 4-5 anni di vegetazione). I rovi si stanno sviluppando in quanto nitrofile dopo la scopertura della lettiera forestale, coprendo ampie zone e possono costituire una protezione per i semenzali di latifoglie, funzione svolta anche dai piccoli cumuli di ramaglie sistemate; lo sviluppo delle ginestre dei carbonai, specie pioniere adatte a suoli superficiali e decarbonatati peraltro sporadiche, potrà forse dare qualche bel risultato anche dal punto di vista estetico. I pini residui potrebbero ancora svolgere funzione di portaseme, oltre che di alberi habitat. |
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L'evoluzione del bosco
La pineta: La vasca Stefano |
